Una proposta per i delfini di Taiji

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A Taiji, in Giappone, si riapre ufficialmente la stagione di mattanza dei delfini. Sea Shepherd ogni anno combatte come può: ostacolando fisicamente le operazioni, cercando di sensibilizzare l'opinione pubblica, gridando per immagini la disperazione.
Quando la stagione finisce
 tutto si spegne e nulla è veramente cambiato: l’anno prossimo i pescatori di Taiji ricominceranno un’attività ovviamente redditizia e la politica giapponese temporeggerà su interrogazioni e petizioni, facendo orecchio da mercante. 

Il pubblico, rapito dai colpi di scena di quello che è un classico film d’azione, tra vittime belle e innocenti, aguzzini con occhi piccoli dall'espressione sordida, soldati coraggiosi col vento nei capelli e tanto, tanto sangue, perde di vista ogni possibile soluzione costruttiva, limitandosi a tifare per un finale col botto.
I pescatori di Taiji sostengono che la loro è una tradizione antica: trovare i tursiopi in mare aperto, spingerli e imprigionarli in una baia, selezionare quelli giusti per gli acquari di tutto il mondo, quelli che vanno bene per la macellazione e quelli che possono servire alla ricerca scientifica, è in effetti abilità che non si acquisisce in un giorno. Ma di questo non importa a nessuno.
L’unica possibilità che ci sarebbe di convertire questi pescatori in persone di fatto esperte in tursiopi, non viene neppure presa in considerazione. Eppure i cacciatori spesso conoscono bene le loro prede e forse non tutti sono così felici di uccidere brutalmente, se fosse loro offerta un’alternativa meno cruenta, ovviamente altrettanto redditizia.
Il mio amico Rick vive alle Hawaii. Da ex marine nato in Arkansas, ha avuto una pensata: prendere un barcone con un paio di suoi colleghi e organizzare uscite giornaliere al largo in cerca di gruppi di delfini liberi, in mezzo ai quali far nuotare a proprio rischio e pericolo i turisti paganti.
Ho visto le foto del ranch di Rick, in cima alla collina: il suo prato si estende per miglia fino al mare, e ci galoppano 5 cavalli, i migliori compagni di gioco dei suoi bambini. In una foto Rick è a torso nudo, ha due grandi delfini tatuati sulla schiena, e in mano tiene una lattina di birra, meritato premio dopo una dura mattina di lavoro. Esce in mare 360 giorni l’anno, le condizioni metereologiche là lo consentono. Può imbarcare un massimo di 50 turisti, che pagano 100 dollari per una scorribanda dove l’unica cosa sicura è l’orizzonte vasto e il lauto pranzo da marinaio della cambusa.
L’incontro con i delfini è casuale, anche se più va avanti in questo lavoro e più Rick sente di avere acquisito un sesto senso nel percepire quali possano essere i loro spostamenti. A volte ha anche avuto la sensazione che fossero loro a cercare lui e tutto questo fa parte del mistero del “wild”.
Rick ama il trambusto teso che si scatena quando, dopo ore di silenzio e di navigazione d’avanscoperta, la vedetta agganciata al pennone come un vecchio pirata molla il binocolo e attacca a sbracciarsi urlando giulivo. La ciurma si scalda e i motori vengono spinti al massimo per poi essere spenti di botto, mentre la nave penetra silenziosamente tra una folla di pinne, a volte anche un cenitnaio, che si aggirano pigre in attesa di un po’ di movida. E allora sgancia gli scivoli, abbranca questi turisti grassotti eccitati come bambini, controlla che abbiano il salvagente legato bene e lasciali andare, a farsi scaracollare da intere famiglie di giganti lucidi che sembrano sorridere, mentre ti sfidano a una gara di nuoto, ti tirano una musata a tradimento, fanno un sacco di salti e di bolle, scortano attenti i loro piccoli a guardare da vicino questi strani esseri goffi che strillano, bevono acqua di mare e tossiscono come vecchi trichechi.
Tenere d’occhio i turisti e ripescarli quando è ora, anche con gli arpioni, è un lavoraccio. Ma lo spettacolo è maestoso, anche alla millesima replica, e non è mai uguale. Spesso i turisti piangono, a volte per la commozione, altre perché travolti dall’eccitazione hanno dimenticato di farsi fotografare. E allora Rick sorride, ha dieci telecamere puntate, di cui quattro subacquee. Il marinaio che all’andata preparava le corde, al ritorno monta un filmatino, lo copia sulle chiavette e lo vende ai turisti, mentre l’intera registrazione può sempre tornare buona ed essere venduta a quelli che fanno ricerca, come quella volta che una telecamera subacquea registrò la presenza di uno squalo grosso come un furgone che aveva sostato a lungo ai margini del gruppo in festa, per poi proseguire solo e sconsolato.
- I delfini in gruppo lo spaventano - dice Rick.
- Rick, ma tu incassi 5000 dollari al giorno 360 giorni l’anno? -
- Eh sì, ci sono un po’ di spese e i ragazzi da pagare, ma è un buon affare. A me piace, lo farei anche per meno, ma di turisti siamo sempre pieni, tutti giapponesi: mia moglie è giapponese, cura lei le prenotazioni. Pagano senza problemi e venire qui a vedere i delfini è per loro diventata una moda maniacale. Ottimi clienti. L’unico problema è la sicurezza: appena vedono un delfino vogliono buttarsi, ma non so perché, non sanno mai nuotare. -


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